Una profezia che si autodetermina è una supposizione che, per il solo fatta di essere stata pronunciata, fa realizzare l’evento presunto, confermando, in tal modo, la sua veridicità. Secondo William Thomas, insieme a Merton e Watslawick tra i più celebri sociologi americani, vissuti nel secolo scorso, “se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”.
La famosa teoria è più che mai attuale in questi giorni, in considerazione di quanto sta accadendo nella campagna presidenziale americana.
Da tempo si stanno rincorrendo le voci sulla inadeguatezza di Biden, viste le sue condizioni di salute, a ricoprire nuovamente il ruolo di Presidente degli Stati Uniti.
Senz’altro alcune sue “debacle” in occasione di apparizioni pubbliche hanno fatto nascere più di una perplessità.
Ma il “tam tam” di queste settimane ha portato la situazione, con tutta probabilità, ad un punto di “non ritorno”. La lettera pubblica, poi, di George Clooney, uno dei più noti sostenitori della causa democratica, oltre che dello stesso Presidente Biden, al New York Times in cui chiede apertamente il “passo indietro”, è stato, probabilmente, l’ulteriore passaggio che, ancora una volta, ha suggellato la trasformazione della “profezia” in “realtà”. E’ chiaro che il clamore (nonché la “spettacolarità”) suscitato dall’articolo hanno indotto molti ad assumere una posizione diversa rispetto alla candidatura dell’attuale Presidente, nonostante il suo prestigio e la sua autorevolezza (almeno visto il ruolo ancora ricoperto). Dubbi e perplessità ogni giorno maggiori e sempre più diffusi, accompagnati, inoltre, in maniera quasi irridente e “provocatoria”, da sondaggi sempre più favorevoli all’avversario politico. Che, di contro, giorno dopo giorno, anche grazie all’attentato subito lo scorso fine settimana (cosa può esserci di più spettacolare di un attentato, peraltro fortunatamente fallito, ad un candidato Presidente, nel pieno della campagna elettorale), vede aumentare il proprio vantaggio e la propria notorietà, e con loro la propria “baldanza”. Assumendo comportamenti tipici di chi si sente la “vittoria in tasca” (oltre che “scelto per grazia divina”, come va dicendo dopo lo scampato pericolo): un altro, forse ancora più evidente, esempio di una “profezia che si autodetermina”. Ormai in molti è forte la convinzione che “non ci sia partita”, cosa che sta portando gli indecisi a prendere posizione con chi già si sente “the winner”.
Da una parte abbiamo chi, per pochi centimetri, non solo è ancora in vita, ma si sente più forte che mai; dall’altra abbiamo un distinto signore, elegante nei modi, costretto a sospendere ogni attività in quanto, in questi giorni, colpito dal covid (ebbene sì, è ancora tra noi). Fossimo nell’antica Grecia probabilmente penseremmo che tutto è stato deciso dal “fato”. E al fato non è possibile opporsi: il via libera totale, nuovamente, alla “profezia che si autodetermina”.
Tutto sembra deciso: ormai si parla con insistenza dell’annuncio, entro le prossime 72 ore, quindi nel week-end, del ritiro di Biden. Rimane, però, il dubbio del “dopo”, cioè se il “testimone” passerà direttamente a Kamala Harris o se, invece, il tutto sarà rimandato all’ormai prossina Convention, con gli oltre 4.000 delegati chiamati a decidere la “nomination”. Decisione non semplice, in considerazione dei tempi sempre più stretti. Al momento, l’attuale Vice-President sembra essere l’ipotesi più probabile, anche se rimane comunque indietro rispetto al candidato repubblicano.
Ma non di sole elezioni americane vive il mercato, anche se, indubbiamente, in questo momento, quello è il “catalizzatore”.
Ieri la BCE ha confermato, come ampiamente previsto, il livello attuale dei tassi. Se ne riparlerà a settembre, insieme alla FED, dopo che avremo passato il mese di agosto a scrutare l’orizzonte dei numeri, con i dati che, settimana dopo settimana, verranno sfornati. Le previsioni “estive” lasciano intravedere un paio di interventi da qui alla fine dell’anno, ma nulla è certo e scontato (come ben sappiamo, visto che, da gennaio ad oggi, avrebbero dovuto essere, i tagli, non meno di 3-4: oggi siamo a 1, solo in Europa e per un misero 0,25%).
Ieri sera chiusura negativa per il mercato americano, con il Dow Jones che ha perso l’1,29%, Nasdaq – 0,48%, S&P 500 0,8%, Russell 2000 (small-mid caps) – 1,9%.
Il “rosso” la fa da padrone, questa mattina, sui mercati asiatici.
Il Nikkei di Tokyo perde lo 0,16%, in recupero verso i minimi di giornata.
Peggio va per l’Hang Seng di Hong Kong e per il Taiex di Taiwan: il primo è in calo di circa 2 punti (- 1,82%), mentre il secondo accusa una perdita dell’1,7%, trascinati entrambi dalla discesa dei titoli tech.
Male anche il Kospi di Seul, – 1,18%.
Si “salva” invece Shanghai, che ha recuperato dai minimi di giornata fino ad arrivare al segno + (+ 0,10%).
Futures per il momento positivi su entrambe le sponde dell’Oceano (Eurostoxx + 0,10%, S&P 500 + 0,30%).
Petrolio di nuovo sulla “graticola”, con il WTI in discesa dello 0,80% ($ 80.74).
Gas naturale Usa a $ 2,10, – 1,36%.
Retromarcia dell’oro, in ribasso dell’1,53% ($ 2.420).
Spread sotto i 120 bp (119,8).
BTP a 3,73%.
Bund 2,41%.
Oat francesi ancora in ribasso, a 3,07%.
Treasury 4.20%.
Leggero recupero per il $, con €/$ a 1,0889.
Bitcoin sempre intorno ai $ 64.000 (64.288).
Ps: sono passati 30 anni. Ma la ferita è dura da rimarginarsi. Siamo ancora qui a discutere del calcio di rigore sbagliato da Roberto Baggio nella finale contro il Brasile ai mondiali di calcio americani del 1994. A gettare benzina sul fuoco è Arrigo Sacchi, senz’altro non un “moderato” (come ben sanno i giocatori del Milan che lo hanno avuto come allenatore alla fine degli anni 80….), che ha dichiarato che la differenza tra la “sua” Italia e quella di Lippi, vincitrice del titolo nel 2006, sempre ai calci di rigore, sta, appunto, nell’errore del “codino magico”. Cosa, peraltro, non proprio vera, visto che sì, Baggio aveva sbagliato, ma comunque, se anche il Brasile avesse sbagliato a tirare il rigore successivo, la nostra squadra non avrebbe vinto in automatico, trovandosi, le 2 finaliste, sulla parità e quindi costrette a continuare, con il risultato ancora apertissimo. Quella di certo non fu una “profezia che si autodetermina”.